Ben ritrovati lettori di Terra e della rubrica “Dipende!”. Questa settimana vi saluto con la seguente considerazione: “Il marketing NON uccide la musica! E’ la capacità del fare IMPRESA culturale che si è estinta“.
Vent’anni fa un amico napoletano, neo imprenditore nel campo dell’editoria indipendente musicale, aveva adottato come missione della sua neonata etichetta l’idea che fosse stato il marketing ad irrigidire gli steccati tra il repertorio di consumo creato ad hoc dall’industria e la “Vera” musica a cui gli spazi erano di fatto negati .
Il mio amico editore non aveva affatto torto, ma oggi che lo vedo ripiegato ad impacchettare glorie canterine di un repertorio napoletano risalente a cinquant’anni fa, ho la certezza che non abbia mancato solo il suo obiettivo. Ha dimostrato nel tempo, come molti nel suo campo, un pizzico di presunzione e di leggerezza nel tentare di fare impresa nel settore culturale, senza dimostrare alcuna capacità previsionale, senza porsi domande sul futuro, fondando alla fine il suo percorso su quegli stessi presupposti che criticava all’industria da cui voleva distinguersi.
L’editore della etichetta indipendente degli anni ’90 approfittava dell’abbattimento dei costi di produzione di sala quando le multinazionali del disco spostavano la loro speculazione sull’anello della distribuzione e dell’immaginario affidato all’Arte del Consenso dei media. Un sistema integrato, quello dei media, così ben oliato ed efficace che nel corso di un secolo ha saputo ribaltare i valori di giudizio delle masse, vendendogli – ad Arte – sogni e patacche a caro prezzo, inventando il Moderno (il Pop), il post Moderno e ogni altra interpretazione della realtà a cui le Parole potessero adattarsi per scatenare interesse sul vuoto.
Non fraintendetemi, il sogno è finito da qualche tempo, non sto scoprendo che ovvietà note ai più. Eppure il senso di questo articolo consiste nel ribadire che non è la disciplina/metodo del marketing ad avere inquinato i rapporti tra la natura della musica e il pubblico all’alba del XXI° secolo, ma l’inettitudine dell’imprenditore culturale! Che è anche l’inettitudine del gestore, del manager e delle istituzioni pubbliche preposte a fabbricare un consenso COERENTE con la natura del progetto artistico!
Qualche esempio. L’acquisto del supporto musicale è tramontato, le recensioni non influenzano (quasi) più nessuno, le date dal vivo a pagamento sono una rarità e un vero lusso per pochi. Ma quasi tutte le centinaia di etichetta indie o di artisti/impresa di loro stessi nel 2011 procedono ancora come segue:
- PAGANO per la stampa dei cd,
- PAGANO un ufficio stampa per informare gli operatori del settore della loro produzione,
- INSEGUONO il/i giornalisti per una recensione,
- PAGANO un service di management per un tour,
- PAGANO un distributore riconosciuto nazionalmente perché almeno una copia del loro cd compaia in uno scaffale del supermercato dell’editoria.
Chi ci guadagna e chi ci perde in questa vetusta filiera, secondo voi?
E di cosa e di chi ci si dimentica in questo percorso soprattutto?
E quali possono essere le alternative?
E quali possono essere gli strumenti e i vincoli alla loro attuazione?
Alla prossima.